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Henning Brockhaus
- Director, Artistic/Stage
Reviews
Henning Brockhaus reviews
“ Brockhaus firma un’edizione ricca di trovate a Caracalla…
Chi ha seguito le vicende biografiche di Puccini, come Henning Brockhaus,un pilastro del teatro musicale, sa bene che Puccini interruppe la composizione di Turandot, non perché colpito da malanni, ma a causa di vicende familiari che avevano portato a suicidio una giovane domestica, perseguitata dalla gelosia di Elvira, moglie del compositore…
Il successo è stato però di primo ordine, grazie e soprattutto a Brockhaus, regista….è bello che questa Turandot raggiunga ora un vertice di audace e felice novità di spettacolo.”
L’UNITÀ, Erasmo Valente, 31 luglio 2006
“…La regia di Brockhaus ha il pregio di ricordarci sempre che tutto è finzione…questo spettacolo “funziona” magnificamente…non c’è nulla di gratuito in questa regia.”
IL GIORNALE DELLA MUSICA, 15 settembre 2006
“…lo spettacolo firmato da Brockhaus ed Ezio Toffolutti è esuberante, mobilissimo, coloratissimo.”
LA REPUBBLICA, Guido Barbieri, 7 agosto,2006
“ …convince soprattutto la godibile e straniata regia di Henning Brockhaus in Turandot….
Probabilmente è una delle messe in scena più riuscite della morte di Liù, poiché senza perdere la sua componente emotiva si trasforma in un episodio di grande impatto simbolico, collimando inoltre scenicamente nel punto in cui termina la musica di Puccini….
Non nuovo sulla scena, il legame vita-arte rischiava di apparire scontato nel binomio Piccini-”Turandot”: Brockhaus è riuscito ad approfittare per realizzare uno spettacolo a tratti sorprendente, un alto teatro di regia, godibile anche da chi è estraneo alla vita di Piccini grazie alla spettacolarità che, pur in un’ambientazione straniata, restituisce intatti i rapporti tra i personaggi.
Al regista e agli interpreti, che hanno aderito alle sue idee, si devo il successo che il pubblico ha tributato al nuovo allestimento.
L’OPERA, Luca del Fra, settembre 2006
“Le lettere sono belle, la musica bellissima. L’esecuzione anche. Ma c’è poi lo spettacolo, raffinato e intelligente.
Sulla vocazione religiosa della monaca è lecito avere dubbi, su quella erotica no. E Brockhaus fa immedesimare gradatamente il destinario delle lettere, l’ottimo attore Paolo Serra, con l’autrice: prima gli orecchini, poi le perle, poi l’abito mondano con la parrucca fino a materializzare attraverso il travestimento la colpevole monacata….splendido spettacolo.”
LA REPUBBLICA, Michelangelo Zurletti, 12 settembre 2005
“ Pergolesi e Rousseau, fantastica notte nel circo della musica.
…questo spettacolo che non sarà fuor di luogo contemplare fra i migliori della stagione musicale in corso. Del resto, quando l’intelligenza prende a braccetto inventiva ed ironia, l’esito è assicurato…una kermesse aristocratica, per palati fini, di là delle baraondesche turpidini che ammorbano un’Italia estiva all’insegna del gusto guasto…
Non era facile trasferire “La serva” sulla polvere della pedana circense, ma tutto è riuscito come per statuita incantagione, senza spiegazione.”
IL TEMPO, Enrico Cavallotti, 7 settembre 2004
“ Il bucolico allestimento di Henning Brockhaus nel parco di Villa Salvati.
Tutti, anche, ammirati per il virtuosismo con cui Brockhaus ha dato un senso all’operina di Rousseau…”
LA REPUBBLICA, Michelangelo Zurletti, 14 settembre 2004
“ La Traviata degli specchi è infatti denominata questa storica edizione, che si rivede sempre con piacere per la semplice ragione che è la migliore dell’ultimo ventennio…E non è da dimenticare quanto notevole sia la regia di Henning Brockhaus, che ritrae Violetta-una bambola in mano- quale proiezione di donna, quale fantasma reso tale dalla crudeltà delle convenzioni: un ritratto onirico-espressionista che getta una luce meno melodrammatica, ma quanto sconvolgente, sull’immortale personaggio verdiano.”
CORRIERE DELLA SERA, Enrico Girardi, 21 luglio 2003
“ La stagione allo Sferisterio s’è inaugurata con la ripresa della Traviata del 1992 tornata in scena a dispensare suggestioni e meraviglie molteplicate…Josef Svoboda, il più grande scenografo moderno morto l’anno scorso che, affiancato dal regista Henning Brockhaus, a Macerata aveva dedicato le creazioni più estrose dell’ultimo decennio di attività.”
LA REPUBBLICA, Angelo Foletto, 23 luglio 2003
“La Traviata allo Sferisterio, per la regia di Brockhaus. Memorabile il suo “El Cimarrón” di Henze.
Regista della Traviata era Brockhaus, figura tra le piú interessanti del teatro d’oggi.”
IL SOLE-24 ORE, Carla Moreni, 27 luglio 2003
“ Brockhaus ha messo in scena “El Cimarrón” di Henze, facendo dalla partitura…un capolavoro. Uno spettacolo in filigrana e toccante, tragico e umoristico, di denuncia e di sensuale attaccamento alla vita. Una delle poche cose che vorremmo rivedere.”
IL SOLE-24ORE, Carla Moreni, 27 luglio 2003
“ Lo spettacolo firmato da Brockhaus attizzava l’epicità del Cimarrón istituendo un’ interazione coinvolgente tra i suoni e i gesti degli strumentisti posti al centro dell’inedita mini-platea, la presenza ciclopica ma fine dal punto di vista interpretativo e in più momenti toccante
del baritono nero Zelotes Edmund Tolliver..”
LA REPUBBLICA, Angelo Foletto, 23 luglio 2003
“ Allo Sferisterio di Macerata rinasce in forma splendida l’autobiografia di uno schiavo evaso composta da Hans Werner Henze.
…il regista Henning Brockhaus ( un pilastro dello Sferisterio e di tanti altri teatri) che ha puntato, per una spettacolarità del Cimarrón, sulla figura del protagonista, ben scolpito dal basso negro-americano Zelotes Edmund Tolliver…lunghissimi applausi- con Brockhaus che ha avuto ragione ad inventare il personaggio Cimarrón in un capolavoro della musica d’oggi, che potrebbe e dovrebbe girare per il mondo.”
L’UNITÁ, Erasmo Valente, 22 luglio 2003
“Affascina il “Cimarrón” di Henze.
Al regista Brockhaus e soprattutto al baritono USA Zelotes Edmund Tolliver, un omone di colore, un Cimarrón fatto e finito, … il merito d’aver tramutato tali gesti musicali in azione teatrale potentissima.
Trionfale esito.”
CORRIERE DELLA SERA, Enrico Girardi, 21 luglio 2003
La Critica Musicale premia El Cimarrón
Quest’anno un grande riconoscimento per “El Cimarrón” andato in scena la scorsa edizione al Teatro delle Pietre di Appianano: il “Premio Speciale” Franco Abbiati, massimo riconoscimento della critica musicale italiana che annovera numerosi pluripremiati come i direttori Claudio Abbado, Riccardo Muti, Zubin Mehta, i registi Luca Ronconi e Graham Vick.
La giuria del prestigioso riconoscimento ha così motivato il premio assegnato a Henning Brockhaus:” per l’ideazione e la regia del “Cimarrón” di Hans Werner Henze, proposto in chiave scenica nello spazio ridisegnato da Benito Leonori al Teatro delle Pietre di Appianano, e modellato sulle originali qualità gestuali e musicali di Zelotes Edmund Tolliver a misura d’un racconto di lacerante forza, umanità e verità drammatica.”
“LO SGUARDO SULLE COSE.
Preludio alla stagione dello Sferisterio con il consueto appuntamento con la musica del Novecento; quest’anno è toccato all’inventivo e coinvolgente El Cimarrón di Henze….Ligio alle esenziali indicazioni di regia di Henning Brockhaus, questi(Edmund Tolliver) ha costruito il suo capolavoro esibendo una quantità e qualità impressionanti di registri tecnici ed espressivi.”
L’OPERA, Enrico Girardi, Settembre 2003
“ C’è Milva la Rossa sui manifesti della bellissima prima tedesca di “La vera storia” di Luciano Berio. E il suo ruolo(la Cantastorie) è trasformato dall’avincente regia di Henning Brockhaus in personaggio-chiave della trama cripto-operistica creata da Italo Calvino sulla musica di Luciano Berio nel 1977-81….Brockhaus ha lavorato con esiti eccellenti.”
LA REPUBBLICA, Angelo Foletto, 30 settembre 2002
“ Don Chisciotte è contemporaneo di Amleto; entrambi nascono nei primi anni del Seicento.Da questa concomitanza prende spunto il più originale spettacolo teatrale di questo periodo: un Don Chisciotte pressoché integrale messo in scena da Henning Brockhaus quest’estate per il Teatro Festival-Parma in cinque serate e ora riallestito a Torino…
Alla recita delle peregrinazioni del cavaliere della triste figura si mescolano momenti del circo e della coreografia, della musica e dell’animazione teatrale. Misti sono i costumi, miste le richieste di fiducia che lo spettacolo ci propone.Le biciclette e perfino un furgoncino tipo Ape si mescolano all’armatura della cavalleria, le percussioni al pianoforte classico, le maschere ai costumi contemporanei, il sesso alla leggenda.
Il risultato, più che una narrazione, è un ambiente, un luogo fantastico, che gli spettatori possono “abitare” insieme alle bizzarie della Mancia, godendosi una convivenza diversa, un gioco della meraviglia che la storia introduce e sostiene.”
LA REPUBBLICA, Ugo Volli, 31 0ttobre 2002
“ Ardito, senza pudori, catalogabile senza troppa fatica come l’allestimento più esplicitamente erotico dell’anno verdiano, è andato in scena- proprio a Parma, e nel sacro tempio del Regio- il Rigoletto del regista Henning Brockhaus. Alla prima lo spettacolo ha fatto scalpore, pittoresco negli epiteti con cui è stato contestao come nelle fioriture carnali in scena; ma nelle repliche è stato festeggiato come un fatto di casa, ormai adottato anche nello stile libero che lo caratterizzava. E, forse,
anche compreso. A mente fredda, dobbiamo dire che dietro l’involucro
di questa impostazione, marcatamente di scuola nordica ( dove il nostro teatro viene comunque visto come oggetto di culto, da frequentare, da tramandare, magari anche da spiegare alle nuove generazioni), si nascondeva una delle poche autentiche interpretazioni di un’opera di repertorio vista negli ultimi tempi.
Brockhaus, oltre che possiede un’ottima mano sul palcoscenico, domato nei movimenti d’assieme e nelle prestazioni individuali, veramente poco convenzionali per cantanti e coro, ha finalmente osato attraverso la lettura di musica e libretto una nuova impostazione del titolo verdiano.”
IL SOLE 24 ORE, Carla Moreni
15 luglio 2001
“ Un piccolo terremoto nell’estate afosissima della valle padana. Dopo le grida al sacrilegio della prima, rivista con un attimo di distacco ( e soprattutto con un pubblico meno rancoroso nei confronti dello staff dirigenziale di questo soffertissimo Festival Verdi 2001) la nuova produzione di Rigoletto va archiviata sicuramente fra gli spettacoli più intelligenti ed interessanti visti in questi ultimi anni. La bellezza, del resto,
è una percezione soggettiva: nel mondo creato dal regista tedesco Henning Brockhaus a rifulgere con sinistra grandezza è la fascinazione ossessiva del male e del sesso che – in qualche maniera bizzarramente funzionale- attira lo sguardo verso gli angoli più bui della vicenda immaginata dal duo Verdi-Piave.
Nessuna volgarità gratuita ( a meno che non consideriamo volgari tout-court giarrettiere, guêpiere e tacchi a spillo) sia ben chiaro, ma una provocazione radicale e coerente che, dal punto di vista dell’immagine, si rifà senza falsi pudori a certo cinema di Pasolini, alla Cavani de “Il portiere di notte” ed ai parossismi cromatici di Peter Greenaway. L’effetto destabilizzante è molto forte, ma altrettanto forti sono certe oasi di poesia ( straordinario in questo senzo il quartetto “Bella figlia dell’amore”) che, inaspettatamente, incontriamo lungo il percorso di riflessione che la messa in scena obbliga comunque a fare.”
IL SIPARIO, Nicola Gandolfi, Agosto-Settembre 2001
“Questo sì che è un evento.
Tutta intenta a celebrare l’ovvietà del presunto “evento”, la stampa musicale sta perdendo di vista quanto di veramente nuovo, creativo e stimolante avvenga sotto i suoi occhi, spesso in sedi minori come il Teatro Morlacchi di Perugia,..Quanto al regista Henning Brockhaus e ai suoi collaboratori Csaba Antal per le scene e Patrizia Toffolutti per i costumi, la trasposizione dell’azione in un’indefinita dimensione novecentesca, devitalizzata da qualsiasi riferimento storico in virtú di una scena fissa costruita da anodine impalcature di tubi Innocenti coperte da teloni, valeva a creare un clima di angosciosa provvisorietà , di panico e di vuoto entro cui dilagava impassibile la crudeltà tutta gestuale e immaginifica della vicenda. Spogliato da ogni orpello naturalistico, il finale primo con gli spasmi libidinosi di Scarpia sullo sfondo del “Te Deum”, scopriva così le proprie carte che ne fanno un analogo storico dello stravolto plasticismo di Rodin.
Per tacere della cura capillare posta dal regista nel far muovere e recitare i suoi personaggi: da anni non vedevamo una Floria Tosca così “celebre cantante” come recita la locandina, come momenti indimenticabili di fragilità, fatuità squisita, smarrita disperazione: o uno Scarpia così prigioniero di un’amoralità tutta illusionistica nella sua assolutezza.”
L’ESPRESSO, Giovanni Carli Ballala
19 novembre 1999
“Spoleto porta in scena una “Tosca” a tinte forti firmato da Brockhaus.
…sostenuti tutti dalla regia illuminata di Brockhaus…Spoleto ha messo in scena una Tosca che gioverebbe alla credibilità di molti enti lirici di prima grandezza. Tutto ruota attorno al personaggio di Scarpia, per cui la perfidia è determinante della violenza.Nel dipingere questo elemento per lui centrale, Brockhaus non ha risparmiato le tinte forti: la scena del ‘Te Deum’, dove la processione è in genere occasione di solennità, diventa qui un fiume di esseri invertebrati che in una delirante immaginazione di Scarpia vede strisciare ai propri piedi. La storia è spostata in una non precisata epoca moderna, e in una Roma invisibile sommersa dai cantieri, quasi a enfatizzare l’immagine di questa città verso il Duemila.”
AVVENIRE, Virgilio Celletta
12 ottobre 1999
“…un’edizione di Tosca di particolare qualità…singolare progetto scenico di
Henning Brockhaus…di assoluta originalità, e di forte impatto visivo…memorabile specialmente la scena del ‘Te Deum’, trasfigurata nel delirio di onnipotenza di Scarpia…”
AMADEUS, Francesco A. Saponaro, Dicembre 1999
“ Madama Butterfly è stata, per molti versi, uno spettacolo indimenticabile, a cominciare dalla personalissima, lucida, estremamente intelligente e coinvolgente visione registica di Henning Brockhaus, che ha firmato il nuovo allestimento del capolavoro pucciniano….lo straordinario lavoro di approfondimento compiuto sui cantanti e sul testo, assolutamente non stravolto ma “reinterpretato” da una visione teatrale emozionante, durissima, a tratti sconvolgente…
Brockhaus ha reinventato la vicenda di Butterfly come un tragico rito in cui tutti i personaggi sono in scena sin dall’inizio, truccandosi e vestendosi come per una cerimonia funebre…
Assolutamente straordinario e intenso il finale, con Butterfly che fa hara-kiri sull’ultima nota della partitura, dopo aver sospinto il figlio, che si getta con la fronte china ai piedi del padre, verso Pinkerton sopraggiunto…
Brockhaus ha trovato in Fiorenza Cedolins, nel ruolo della protagonista, un’interprete superlativa. Alla cantante si è qualche volta rimproverato un certo distacco come attrice dai suoi personaggi. In ogni cantante evidentemente è assopito un attore straordinario che aspetta il regista giusto per risvegliarlo. Una Butterfly così moderna e nuova, viva e palpitante, sottratta ai vezzi delle giapponeserie di maniera, non si era mai vista.”
L’OPERA, Nicola Salmoiraghi, Settembre 1999
“ Il riuscitissimo allestimento del capolavoro verdiano, firmato da Brockhaus e Svoboda, segna la rinascita del Teatro dell’Opera di Roma.
…Spettacolo di alta fusione scenica e musicale, si presenta con caratteristiche di unitarietà rarissime…
Macbeth che canta la sua aria finale inginocchiato davanti al trono ( ma che trono, davanti a una sedia: che però diventa importante quanto un trono) come un derelitto, è bellissimo.”
LA REPUBBLICA, Michelangelo Zurletti, 16 marzo 1995
